L'ironia e il fascino dei "Promessi sposi" in punta di pennello.
Le edizioni Della Torre hanno appena pubblicato le 38 tempere create nel 1926 da Anna Marongiu Pernis
Ce ne sono almeno tre di mani e tutte forti, che hanno realizzato questo libro non comune che è Tavole per i Promessi Sposi di Anna Marongiu Pernis (Edizioni della Torre), dando un contributo importante al recupero critico e allo studio più allargato di questa importante artista del Novecento. La prima è quella di Giuseppina Cossu, che insieme direttrice della Biblioteca Universitaria e Presidente degli Amici del Libro, ha coniugato la conoscenza diretta del Fondo Marongiu esistente da tempo nella biblioteca cagliaritana (dove anche il Gabinetto delle Stampe è intitolato all'insegne pittrice) con l'attività dell'associazione, che è stata fondata da Nicola Valle, cioè da uno dei maggiori studiosi di Anna Marongiu.
C'è poi Maria Crespellani, che ha percorso tutto intero il lungo ed intenso viaggio dell'artista, raffigurandola così straordinariamente poliedrica come non era accaduto finora. Infine la mano di Luigi Rogier che commenta le 38 tavole con passi dei Promessi Sposi che abbiano una qualche evidente parentela con le immagini della raccolta, e con acute interpretazioni di quelle originali raffigurazioni.
Ma quale è la chiave di lettura che sembra offrirsi a chi consulta il libro al modo in cui si passa da un quadro all'altro, nella visita all'esposizione che ne fa una qualsiasi galleria d'arte? Maria Crespellani a conclusione del suo approfondito intervento di studiosa della storia dell'arte, introduce il denso elenco delle opere di Anna Marongiu, classificandole variamente come illustrazioni e decorazioni, rappresentazioni di Cagliari, opere umoristiche e giocose, opere bibliche, opere mitologiche, varie, opere a bulino, paesaggi.
In quale di questi raggruppamenti possono collocarsi queste 38 tavole a colori? Intanto è quasi una novità che, accanto a quello che ha finora prevalso nella conoscenza della Marongiu e cioè accanto alle opere in bianco e nero, si collochino anche queste immagini, tutte a colori e, financo, spesso fantasmagoriche. Ma è anche più importante che non solo si citino le opere umoristiche e giocose (dalle acque forti L'altalena dei pagliacci e lo Spaventapassari del 1930, all'olio della Pulcinellata del 1934 e ancora all'acquaforte della Buffonata del 1937 e, però, ancora se ne tenti la collocazione in una creazione diversa e talvolta lontana.
E questo, precisa Maria Crespellani, non solo perché questa tematica ha un largo posto nell'opera complessiva della Marongiu, ma anche o soprattutto «perché rivelano un gusto molto fine dell'ironia e dello humour, che non si sa bene se sia dovuto più alla sua nascita cagliaritana, o ad un'acquisizione culturale di tipo inpo inglese».
L'una e l'altra, osiamo rispondere - cagliaritanità e anglofila - e proprio se non tutte, certo molte delle tavole «manzoniane» sono ironiche e sarcastiche e, ancora appunto questo sorriso che le insapora, le lega strettamente ad un'altra opera, non occasionalmente composta negli stessi anni (il 1926, quando l'artista aveva diciassette anni): la illustrazione de Il circolo Pickwich con 29 acquarelli a colori, 226 disegni a penna. Charles Dickens è in partenza comico e beffardo ed è noto che questo suo capolavoro fu accompagnato fin dalle prime edizioni dalla bravura di vignettisti famosi, che finirono per competere ad armi pari con l'autore.
Ma il Manzoni, l'austero Manzoni? Non che lo scrittore lombardo non regali al lettore il gusto di punzecchiare, ma nella comune valutazione quel riso è schermato dalla severità dell'ispirazione morale.
E qui invece nella trasfigurazione pittorica che ne ha fatto Anna Marongiu, interviene il lettore o meglio l'interprete e non è difficile immaginarselo se lo si vede appena uscito da quel carcere che la scuola, qualche volta, diventa. Quando il classico che ha risuonato dalla cattedra diventa «opera aperta» e non sapremo mai che cosa diventerà nell'animo e nell'immaginazione di chi lo ha ascoltato con le sue orecchie. Anna Marongiu è stata questa interprete libera del capolavoro del Manzoni e basterà anche solo qualche esempio per persuaderci che quel pennello è un reattivo alla scuola solenne, da cui è appena uscita a respirare un'aura nuova la pittrice, che lo impugna con tanta risolutezza.
Don Abbondio viaggia spedito e sembra ringiovanito, appena scioltosi dalla paura di Renzo. Lucia non nasconde le sue forme negli abiti attillati. L'Azzeccagarbugli, con in mano a ostentarle le carte con cui imbroglia il prossimo, fa sfoggio anche di una sua aulica divisa, Padre Cristoforo, che si precipita col dito alzato, ha il passo di un bersagliere. Il fosco palazzotto di don Rodrigo diventa una di quelle costruzioni di cartone che erano il gioco prediletto dai bambini degli anni Trenta. Don Rodrigo è affogato dal cappellaccio, dalle trine, dalle piume e non fa più paura. Renzo è tutto lindo e appena uscito da un parrucchiere.
E la monaca di Monza appare superba e altissima, come non l'avevamo mai immaginata, non nasconde interamente la sua bellezza sotto il velo monacale, i figli di Renzo e Lucia sono bambolotti tutti inghirlandati, come nei tempi nostri, la mula diventa un cavallo al galoppo, che trascina don Abbondio terrorizzato, aggrappato all'arcione...
Poi ci sono immagini in cui questa ironia si smorza o scompare del tutto: le scene degli assalti popolari, della peste, del lazzaretto, delle processioni, dei monatti, dei paesaggi montani e lacustri e, centrale, il voto di Lucia che nella nudità del luogo, fa più serrato il suo colloquio con Dio.
Una varietà di ispirazione, dunque, sempre contenuta, che conferma la ricchezza generale dell'opera di Anna Marongiu Pernis, che stupirà ancora quando si terrà conto che fu bruciata nell'arco di soli quindici anni. Fra il 1926, che è l'anno delle Tavole dei Promessi Sposi e la sua morte tragica, quando il 30 luglio 1941, a soli 34 anni, l'aereo, che l'aveva altre volte fatta viaggiare, fra l'amata sua città e Roma, dove l'artista si era arricchita, precipita dal cielo sul Lido di Ostia. Aveva con sé l'ultima sua acquaforte, ricorda Maria Crespellani, che ha potuto accarezzare quell'opera, intitolata Lotta di animali e raffigurante un coacervo di uomini e bestie in feroce lotta fra loro.
E così la giudica, come avvertendo ancora un suo trapasso dal riso al pianto: «È un'opera amarissima, sconsolata, che si potrebbe leggere in chiave sarcastica, se non prevalessero lo sgomento e la drammaticità... Le linee ivi incise, ora morbide ora forti, sono gli ultimi segni tracciati con amore dalla sua mano d'artista. Poi il silenzio».