Anna Marongiu

un'artista cagliaritana nella prima metà del novecento

Enrico Endrich

Tutto Quotidiano 13 gennaio 1976

Le acqueforti di Anna Marongiu - La caduta di Icaro


Un’acquaforte di Anna Marongiu Pernis ha come soggetto e come titolo La caduta di Icaro. Soggetti mitologici e soggetti religiosi (tra cui una Crocifissione, opera che si distingue per il forte plasticismo, la robustezza della impostazione, gli effetti di luce sorprendenti e l’alta drammaticità della composizione) si alternano nella attività grafica della Marongiu con soggetti che si potrebbero definire in largo senso, “crepuscolari”.
Carlo Alberto Petrucci, il finissimo incisore romano che è stato per molti anni Direttore della Calcografia di Stato e che fu maestro della geniale e versatile artista cagliaritana, ha scritto (fascicolo di gennaio-febbraio 1946 della rivista Il convegno) che nell’eseguire l’acquaforte La caduta di Icaro la Marongiu incise, “forse non inconsapevolmente, il suo tragico destino”. Essa perì in giovane età, trentacinque anni or sono, in un disastro aereo.
Molti artisti eccellenti sono morti giovani e Anna Marongiu era una valentissima artista. Valente e modesta. Schiva d’onori e di lodi, il più delle volte preferiva tenere per sé i tesori pittorici sbocciati dalle sue mani.
Quando la si invitava a partecipare a mostre si scherniva con un sorriso timido che illuminava il suo bel volto , sovente assorto e pensoso come se la giovane donne sentisse l’incombente catastrofe. Fu necessario vincere la sua riluttanza perché s’inducesse a partecipare a numerose e importanti esposizioni in Italia e all’estero.
Solo dopo molte insistenze, nel 1933, allorché nella palazzina neoclassica, restaurata e ampliata, del Giardino pubblico di Cagliari, fu inaugurata la Galleria comunale d’arte, si ottenne che la Marongiu inviasse alcuni lavori. Erano incisioni e disegni in cui l’estro dell’autrice si era sbizzarrito a rappresentare scene fantastiche (Le streghe, I tre giganti), mitologiche (Sirene e tritoni), umoristiche (L’amorosa tragedia), scorci di vita (La pesca), paesaggi romantici (Il sentiero petroso) o a raffigurare cose soffuse di malinconia (Crisantemi).
Un’attività così preziosa – nella quale la varietà dei temi e degli stati d’animo denota le molteplicità degli interessi intellettuali e la grande ricchezza spirituale – non può essere svalutata col domandare quale sia la sua “portata pratica”.
L’arte, diceva Giovanni Pascoli, non è praticità; non può esistere una poesia applicata: solo la poesia pura e autentica.
Con ciò non si vuole negare l’importanza del realismo e del neorealismo; si vuole semplicemente dire che al disopra dei canoni estetici occorre cercare la genuinità dell’ispirazione e la sincerità della poetica.
L’arte non tollera costrizioni e le ansie dell’umanità possono essere espresse senza moduli prestabiliti.
Quando Anna Marongiu si affacciò, adolescente, alle soglie dell’arte, erano presenti ed operanti nella vita nella vita intellettuale degli italiani gli influssi dannunziani, pascoliani e crepuscolari.
Guido Gozzano, il più noto dei poeti crepuscolari, era morto, trentatreenne, nel 1916; ma “la linea crepuscolare” (così la chiama Edoardo Sanguinetti, il quale ha tentato la collocazione della poesia di Gozzano su un piano sociale) continuava anche nel primo dopoguerra.
Partito da posizioni dannunziane e nicciane e approdato ai lidi dell’intimismo francese, Guido Gozzano, epigono e demolitore del decadentismo, impersona quel movimento il cui nome (coniato da Giuseppe Antonio Borghese in un suo studio critico) non allude ad una situazione storica, bensì ad una tonalità, come osserva Gianfranco Contini. Certo esagerava Aldo Palazzeschi quando, nel 1948, affermava che “dal dolce stil nuovo non era avvenuto nella lirica italiana, un movimento così importante”; ma importante indubbiamente fu: secondo Eugenio Montale il Gozzano è “il primo che abbia dato scintille facendo cozzare l’aulico col prosaico”.
Perché scrivendo di Anna Marongiu, mi soffermo sul crepuscolarismo? Perché esso era ancora nell’aria al tempo della formazione artistica della Marongiu e si sa che i movimenti letterari si riverberano nelle arti figurative. Il clima in cui si compì quella formazione artistica risentiva di idee e correnti diverse, le quali si riflettono nei lavori della pittrice cagliaritana; la nota crepuscolare è una di quelle che spesso vi si colgono.
Non c'è la vena di scetticismo che Benedetto Croce avverte nei lavori del Gozzano; c'è però la stessa sentimentalità scevra di sdolcinatezze e di languori e c'è (si rivela in molti lavori della Marongiu) quella che il Croce chiama “prontezza di andar via dal mondo”, la familiarità col pensiero della morte.
Eppure così nei crepuscolari come nella nostra artista vibra e palpita un tenero amore per le cose belle della vita. Si può ripetere per Anna Marongiu ciò che P.P. Trompeo ha detto del Gozzano: “Poeta dal pennello pieno di luce, amava tanto, pur ironizzandole, le cose belle della vita”.
Amore delle cose belle e familiarità col pensiero della morte, letizia e sgomento: questo è il complesso quadro psicologico. E per dare ristoro e forza all'animo turbato si cercano due rifugi: la fede e l'ironia. Il rifugio più sicuro è la fede e sono atti di fede le incisioni Fuga in Egitto, Cristo sul lago di Tiberiade, Caduta di San Paolo, Getsemani e molti altri.
L'ironia è un mezzo di difesa o di rivalsa contro le mille amarezze della vita. Ampiamente circolante nei componimenti di Guido Gozzano, l'ironia è profusa largamente nei lavori di Anna Marongiu; in tal senso la deliziosa acquaforte Gli Antenati è il più gozzaniano dei lavori della nostra artista.
Tutti i critici, da Benedetto Croce a Pietro Pancrazi, da Piero Bargellini a Edoardo Sanguinetti, mettono l'accento sulla “consolatrice” ironia gozzaniana. Nicola Valle e Remo Branca, a loro volta, pongono l'accento sull'ironia dolce e sorridente, di Anna Marongiu. E' un umorismo garbato, dice Nicola Valle, il quale è sempre acuto e perspicace nei suoi giudizi, è “un ironia contenuta e sempre di raro buon gusto”. Ne abbiamo numerosi esempi : nella bellissima acquaforte Cavaliere dell'ideale, in Buffonate, ecc.ecc.
Per evitare che il parallelo che sono venuto tracciando, o meglio, che son venuto abbozzando fra il poeta di Aglié Canavese e i crepuscolari in genere, da un lato, e l'artista cagliaritana, dall'altro, possa apparire artificioso, mi affretto a precisare che il crepuscolarismo, assorbito come “tonalità” (mi avvalgo del vocabolo usato da Gianfranco Contini) dall'animo della pittrice, si riflette, con qualcuno dei suoi aspetti, sfumature, e implicazioni, nella pittura di lei diventandone una componente, ma che numerose e sostanziali sono le differenze: diversi sono i motivi, le prospettive, il respiro. L'orizzonte dell'artista sarda è molto vasto e va assai oltre i confini del piccolo e angusto mondo provinciale; ampio è il volo della fantasia.
Nell'animo irrequieto della pittrice cagliaritana c'è, si, lo slancio verso le care, consuete cose (l'aranceto, il sentiero campestre, le strade e i monumenti di Cagliari: la Via Roma, la Chiesa di San Saturnino, ecc.); ma vi si riscontra anche un'ardente sete di immensità, un bisogno prepotente e quasi nostalgico d'evadere verso terre lontane, favolose. Talvolta c'è un senso d'intensa tragicità, che colpisce e sbigottisce.
Remo Branca, riferendosi alla grande incisione Il terrore (una delle opere - dice Carlo Alberto Petrucci - che rispecchiano il tormento e l'amarezza dell'autrice) osserva che essa “è sconcertante sole che si pensi uscita dalla mente di un'anima delicata ed attenta alla vita e alle belle architetture della sua città. Ma poi (l’artista stessa) ci appare più semplice, innamorata della natura arborea quando si pone, con più schiettezza e sentimento personale, a contemplare i sentieri di campagna, i boschi silenziosi dell’Isola o i ridenti parchi romani”.
La verità è che la schiettezza non manca mai nei lavori della Marongiu, la quale si aggira, amorevolmente, tra le cose vicine o, immemore del tempo e dello spazio, vaga in regioni remote e in secoli passati, o, nella felicità dell’evasione, vola verso mondi chimerici, popolati d’esseri strani, e verso tempi mai esistiti.
Ammirevole per la vastità dell’area immaginativa e per la gamma delle concezioni dovute ad una soggettività complessa e sottile, Anna Marongiu è ammirevole anche per l’impeccabilità tecnica. Nicola Valle e Remo Branca hanno rilevato che il segno è nitido e pulito. Non ci sono velature e non c’è alcuno di quegli eccessi d’inchiostrazione che servono, ai meno capaci, per sopperire alle insufficienze tecniche. Anche Felice Melis Marini elogiò in un suo scritto commemorativo dell’acquafortista cagliaritana, “la sua maestria di artista e di artefice”.
Il segno è sicuro, preciso. La bravura tecnica e stilistica si accompagna alla dovizia tematica e a una sensibilità rara.
Enrico Endrich